Lasciate che sia il processo a stabilire ciò che è vero e ciò che è chiacchiera contradaiola

Una vicenda talmente complessa e intrecciata d'aver coinvolto molta gente che, direttamente o indirettamente, ha avuto un ruolo in essa. Il presunto assassino è stato preso e sappiamo come, cioè a seguito di un'inchiesta laboriosa, caratterizzata da interrogatori, colpi di scena, sospetti, accertamenti scientifici di cui le cronache hanno ampiamente riferito.

Non era mai successo che gli investigatori si mobilitassero in forze per prelevare il Dna a migliaia di persone. Un ambaradan che parecchi osservatori avevano giudicato eccessivo e inconcludente. Al contrario, le operazioni dei carabinieri e della polizia, condotte da tecnici specializzati, hanno portato a un risultato che non è esagerato definire rivoluzionario: l'identificazione e l'arresto del presunto omicida. Attorno al quale c'è una folla di familiari, parenti, amici. Difficile raccapezzarsi in un simile labirinto. In ogni caso suppongo che tutti abbiano letto testimonianze e dichiarazioni circa l'ambiente in cui maturò il martirio di Yara. Noi in verità ci siamo un po' smarriti nel dedalo di tanti fatti strani e agghiaccianti.

Senza avere la pretesa di ricostruire in modo preciso questo romanzone noir con contorni pecorecci, desideriamo esplorare aspetti finora trascurati. Allora. Si dice che Massimo Giuseppe Bossetti, figlio di Ester Arzuffi, sia nato da una relazione extraconiugale della madre con un autista di pullman della Valle Seriana, Giuseppe Guerinoni, morto nel 1999. Pace all'anima sua, è l'unico che non è stato disturbato. Massimo ha una gemella, anch'essa pertanto frutto della citata relazione rimasta segreta per decenni e che la signora Ester nega di aver intrattenuto. Ma il Dna dimostrerebbe l'opposto.

Poi c'è la moglie dell'indagato, che ha tre figli piccoli e che ora si dispera. Poi c'è la famiglia Gambirasio, quella di Yara. Poi c'è una selva di bugie, di cose dette e non dette, di pettegolezzi e sussurri. Poi c'è un intrico d'ipotesi. Il tutto è sotto i riflettori, che in queste circostanze sono così abbaglianti da far perdere il senso della realtà e da accendere la fantasia nei paesini orobici dall'aspetto lindo, quasi elvetico, ma che nascondono vizi e peccati veniali e mortali, per usare un linguaggio parrocchiale assai diffuso in zona.
In sostanza chiunque abbia la lingua parla e aggiunge dettagli su dettagli alla versione ufficiale - sobria e scarna - delle autorità inquirenti. Ogni personaggio che abbia avuto o abbia una parte nella storiaccia è stato spietatamente radiografato dalla stampa e dalla tv. Ogni sospiro è diventato un tornado. I panni sporchi della comunità sono stati e continuano a essere lavati in piazza, davanti a un folto pubblico. Il popolo vuole vendetta, grida: «Morte all'omicida schifoso che ha ucciso la bimba». E poiché gli si offre un muratore con un compromettente Dna (pochi sanno esattamente cosa sia), l'eccitazione monta. Cesare Beccaria, quello che nel Settecento scrisse il trattato Dei delitti e delle pene, passa per coglione. La presunzione d'innocenza è ritenuta un pregiudizio borghese, roba da fighetti.

Non c'è anima, tranne il sottoscritto (che lo ha detto in televisione, su Rete 4) e l'avvocato Giulia Bongiorno (che lo ha detto sul Fatto Quotidiano), che abbia ricordato a lorsignori un dato importante: il Dna può essere - è - un indizio solido, ma non una prova certa. Per cui siamo solo alle battute iniziali delle indagini vere e proprie. Ci vuole altro per condannare un imputato: indizi robusti, magari una confessione. Ma, al di là delle frattaglie giudiziarie, desideriamo spendere due parole per quel poveretto - ammesso che i sospetti vengano confermati - che allo stato pare essere il padre putativo e non naturale (di Massimo), il quale avrebbe allevato due figli non suoi bensì di un autista (Guerinoni) che ebbe rapporti sessuali di straforo con la signora Ester, indicata come consorte fedifraga di Giovanni Bossetti.

Nella presente congiuntura, costui - peraltro malato e stanco - è stato declassato su ogni giornale a cornuto, l'ultimo della Valle Seriana a sapere di esserlo. E ha voglia la moglie di rassicurarlo: ma no, Giovanni, sono balle inventate da quei porci di cronisti. Non è sputtanante essere vittime di un tradimento, ma lo diventa se chiunque si convince che tu lo sia. Non c'è rispetto per il poveruomo additato alla pubblica opinione quale cornuto. E ciò intristisce.

Un crimine come quello che ha eliminato Yara supera qualsiasi misfatto, ce ne rendiamo conto. Però ferire un vecchio consegnandogli gratuitamente il certificato di becco è un obbrobrio indigeribile. Lasciate che sia il processo a stabilire ciò che è vero e ciò che è chiacchiera contradaiola. Non offendiamo la dignità delle persone per il gusto di anticipare le sentenze della Corte d'assise.

Non è finita. Per individuare Ester, mamma di Massimo (l'arrestato), a quali espedienti si è ricorsi, visto che lei sostiene di non avere avuto un flirt con Guerinoni? Ci piacerebbe saperlo. Invece, sappiamo soltanto che sono state convocate 400 - sottolineiamo 400 - donne residenti in un fazzoletto di terra seriana (uno sputo) soverchiate dal sospetto di avere commesso adulterio. Il che significa due cose. O ci si è fidati incautamente delle ciance oppure si deve ammettere che i costumi negli anni Sessanta (quando nacque il sospetto maniaco) non erano diversi da quelli improntati alla libertà sessuale di oggidì. Nel mondo le corna, in pratica, non cambiano mai, sono sempre di moda, ieri quanto adesso.

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