I barbari e la chioma del raìs

Che barbarie, che riti tribali, che popolo arretrato, hanno commentato sgomenti i media davanti allo scempio del corpo di Gheddafi.
Arretrati sì, ma non di secoli; solo di sessantasei anni rispetto all'Italia...
Su quella barbarie e sullo sciame di mosche umane ronzanti intorno alla carogna, è inutile ripetersi.
Io vorrei solo soffermarmi su un piccolo particolare: i capelli strappati a Gheddafi e la motivazione: «per vedere se erano veri».
In quel rito c'è, sì, qualcosa di arcaico, di animalesco, di scimmiesco.

Ma c'è anche qualcosa di moderno, di televisivo, di mediatico-gossiparo.
Ricorda quelle trasmissioni che smascherano i rifatti. Trovo quello strappo perfino più miserabile nella sua banalità dell'uccisione del tiranno.
Là c'è un'estrema, seppur bestiale, sete di vendetta e di giustizia.
Ma strappare i capelli solo per vedere se erano finti è la miseria del suddito curioso e invidioso che profana l'icona, il personaggio televisivo, lo irride e svela i suoi limiti umani, mostrando che anche lui era vecchio e pure falso.
A giudicare dal sangue quei capelli del raìs erano tinti ma non finti.
Mussolini, almeno, non corse quel rischio...
Con la morte di Gheddafi e la malattia di Fidel Castro volgono al tramonto gli ultimi dittatori venuti dal Novecento. Dicono: è la sorte dei dittatori finir male, come Saddam o Gheddafi.
Mica vero.
I dittatori comunisti, da Lenin a Stalin, da Mao a tutti i dittatori dell'est, con la sola eccezione di Ceausescu, sono morti in pace, protetti dall'Apparato.
No, non c'è giustizia divina dietro la fine dei dittatori.

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