L'insostenibile leggerezza di una maschera

 

Roma, Piazza Navona.
Mi ritrovo al tavolo di un bar tra una coppia di musulmani con la ragazza barricata in una specie di burqa, un velo che le co­pre la bocca e il naso e lascia scoperti solo gli occhi.
E dall'altra un gruppo di giapponesi con la mascherina.
Vedo da un lato il passato che non vuole passare e dall'altro il futuro che ha paura di se stesso.
In mezzo io mi sento il presente sfacciato, incresciosamente nudo, con la bocca, il mento e addirittura il naso di fuori.
E questa sarebbe la globalizzazione?
Pregiudizi arcaici e pregiudizi ecologici assediano il cuore di Roma.
Denotano da ambo i lati diffidenza nei confronti della vita, degli altri, del mondo.
Manca solo un bel russo con il colbacco e il passamontagna e possiamo giocare a nascondino senza frontiere.
Scopro il piacere di essere occidentale, anzi di più, europeo, anzi peggio mediterraneo, perdutamente romano e addirittura meridionale, marino e solare.
Rivalu­to perfino i nudisti davanti a questo occultamento di cadaveri viventi.
Quel che più mi sconcerta è che non ho davanti a me vecchi barbogi islamici e vecchi bacucchi giapponesi, ma ragazze e ragazzi che hanno la metà dei miei anni e temono il mondo in cui vivono.
È pure un'offesa per noi italiani, un segno di sfiducia nei nostri confronti e di diffidenza per la nostra aria e i nostri sguardi, un rifiuto di comunicare.
Capisco che si barrichino nei loro paesi, ma che vengano qui a mascherarsi no, non l'accetto.
Che voglia di scoprire il loro viso e fare loro cucù.
Devo dire che tra le due mascherate reputo più avvilente quella giapponese: nel velo islamico c'è almeno una cultura, un credo, l'assurda convinzione di preservare la dignità della donna e il mistero.
Nei giapponesi c'è invece una tetra visione ospedaliera del mondo, una concezione tristemente sanitaria, il terrore di contaminarsi.
Preferivo i samurai e perfino i kamikaze; quelli giapponesi, s'intende, non i terroristi.
Un popolo che non sa ridere alla luce del sole e in faccia alla gente, è destinato a una vita triste e sfigata.
Da noi nemmeno i rapinatori usano più coprirsi la faccia.
Che civiltà.

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