L'estate passava felice per la cicala che si godeva il sole sulle foglie degli alberi e cantava, cantava, cantava.
Venne il freddo e la cicala imprevidente si trovò senza un rifugio e senza cibo.
Si ricordò che la formica per tutta l'estate aveva accumulato provviste nella sua calda casina sotto terra.
Andò a bussare alla porta della formica.
La formica si fece sulla porta reggendo una vecchia lampada ad olio.
- Cosa vuoi? - chiese con aria infastidita.
- Ho freddo, ho fame… - balbettò la cicala.
Dietro di lei si vedeva la campagna innevata.
Anche il cappello della cicala ed il violino erano pieni di neve.
- Ma davvero? - brontolò la formica - Io ho lavorato tutta l'estate per accumulare il cibo per l'inverno. Tu che cosa hai fatto in quelle giornate di sole? -
- Io ho cantato! -
- Hai cantato? Bene… adesso balla! -
La formica richiuse la porta e tornò al calduccio della sua casetta, mentre la cicala, con il cappello ed il violino coperti di neve, si allontanava, ad ali basse, nella campagna.


Morale
Alzi la mano chi tra di noi quando lesse (o si sentì raccontare questa favoletta) per la prima volta
non provò un'istintiva repulsione verso l'antipatica formica e solo tanta tanta simpatia
nei confronti dell'allegra cicala.
Ora che bambini più non siamo
mi auguro che il messaggio lanciato da La Fontaine sia chiaro.
Lodovisca

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