La parola magica della settimana ha un brutto aspetto, un cattivo odore e
una pessima reputazione: stronzo.
L'unico valore condiviso, almeno a parole,
è lo stronzismo, che unisce nell'uso Rosy Bindi e Marco Pannella, Maurizio
Sacconi e Umberto Bossi, che è il leader indiscusso del linguaggio fiorito.
A dir la verità l'epiteto non è poi così negativo, perché implica
il riconoscimento di una certa compattezza sostanziale, perfino di una dirittura
o rigidità e comunque di una solida coerenza: non a caso è frequente
che si completi con Solito Stronzo, anche al plurale.
Solito indica coerenza.
Nel gergo giovanile a volte assume persino una punta di ammirazione o simpatia,
perché si riconosce al titolare un misto di furbizia e carattere.
L'insulto
inappellabile alla dignità è invece merda, francesismo riferito
anche a collettività o nella versione fantozziana aggravata, merdaccia.
Che può oggi trovare un riscatto sociologico se la consideriamo l'effetto
di quel che Bauman chiama già nel titolo di un suo testo Paura liquida;
ma siamo nell'ambito vile della diarrea o di quel che a Sud viene chiamata,
con diretta allusione alla paura, scacazza.
Non dite che è segno dei
tempi degradati perché il lessico coprofilo ricorre perfino in epoca
dantesca e petrarchesca, oltre che naturalmente boccaccesca, giù fino
all'età di Machiavelli e dell'umanesimo.
Declina con la Riforma e la
Controriforma dove lo sterco viene associato al demonio.
Dunque non ci scandalizza
l'uso, ci avvilisce solo di cosa debba occuparsi la politologia, in mancanza
di meglio...
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